Che cosa dire? Non so se riuscirò a raccontare ciò che ho vissuto nel mio cuore, non è così semplice, anzi, a volte risulta impossibile. Succede che qualche giorno fa hanno fatto rivedere in televisione il film “La chiave di Sara” e mi ha nuovamente emozionato, suscitato tanti sentimenti contrastanti e sofferti. Sicuramente, se non fossi cristiana e quindi credessi in una vita unica, speciale, irripetibile, potrei essere tentata dal pensiero che esista una reincarnazione! Ovviamente non è così, vi è un’altra spiegazione scritta nel grande disegno della mia anima, che Dio ha pensato così per il mio bene. Insomma che il mio interessamento verso la questione ebraica pare eccessiva. A dire il vero poi si estende a tante altre forme di discriminazione e persecuzione, ma, molto probabilmente ho avuto occasione di accostarmi maggiormente alla questione ebraica in modo più facile tramite alcuni libri che fin dall’adolescenza ho potuto leggere. Una persona in quel periodo mi regalò anche un libro che raccontava dell’Arcipelago Gulag, cioè dei campi di concentramento russi. Ne avevo due a disposizione: quello che ho citato appena adesso e il libro di Martin Gray “In nome dei miei” che tra l’altro ha terminato il suo percorso terreno poco tempo fa. Se avreste il tempo o l’occasione di dare uno sguardo alla mole dei libri, capireste immediatamente il motivo per cui il mio interesse si volse assolutamente su quello di Martin Gray. È vero che mia sorella mi disse che il libro era un po’ noioso e assolutamente triste, ma sono famosa per esser riuscita a leggere quasi tutto d’un fiato “I Malavoglia” e… “I Promessi Sposi” con tanto di tutte le descrizioni e riferimenti storici manzoniani… per cui cosa volete che fosse per me un libro di appena 200 pagine circa? Non so, più o meno era quello il numero, posso anche sbagliarmi, il punto del discorso non è quello. Fatto sta che affrontai la lettura del libro che mi segnò molto e sul quale riflettei abbondantemente. Era triste, ma molto commovente, incredibilmente crudele e lucido. Martin Gray nel suo libro raccontò la sua vicenda di ebreo polacco braccato dai nazisti, di prigioniero del ghetto di Varsavia, di internato nel campo di concentramento, di ripresa lenta e dolorosa, della perdita anche della famiglia che si era formato, della moglie, dei figli. Una vicenda davvero dolorosa. Ha segnato la mia adolescenza e mi ha accompagnato nella crescita. “La chiave di Sara” è una versione diversa rispetto alla storia di Martin Gray. La protagonista che ha vissuto la persecuzione nazista quando era una bambina, crescendo, non ha saputo superare il suo dolore, anche perché divorata dal senso di colpa nei confronti della morte del fratellino, chiuso in un armadio da lei stessa per salvarlo dai rastrellamenti. Un’altra vicenda triste… cosa può fare la cattiveria umana, l’ingiustizia, l’odio cieco. No, Signore, mai, non permettere mai che mi metta dalla parte dei carnefici, nonostante possa subire tante ingiustizie.
Nessun commento:
Posta un commento