Sono appena arrivata con l'autobus piccolo. Stamattina, quando sono uscita, diluviava: ore 6.45, cielo pressoché scuro, nero come l'inchiostro, pareva notte. Il 36 è passato subito. La palina alla fermata del bus segnava nuovamente allerta 1. Tempo di arrivare a Castelletto e la pioggia diminuisce, anzi, sembra sparire completamente: c'è qualcuno che lassù mi vuole bene davvero. Nonostante mi sia svegliata prima del suono della sveglia, il mio cervello fa fatica a soffermarsi sulle parole che pronuncia il prete che celebra la Messa e pure sulle mie che rispondono alle preghiere. Esco di chiesa che sono quasi le 8.00, ha ricominciato a piovere ma non troppo, tuttavia, a dispetto del mio solito, apro l'ombrello che è a scatto, era di mio padre. Non usandolo quasi mai, sono un po' impacciata perché questo si apre o si chiude secondo un determinato meccanismo. Il 15 non è ancora al capolinea: sicuramente ha trovato traffico durante il tragitto, infatti quando piove quasi tutti prendono l'auto e le strade s'affollano. Il mio cervello, però, vive in un'atmosfera surreale, ovattata e non ci faccio più di tanto caso. La gente attende sotto gli ombrelli aperti: sembrano tanti cappelli di funghi, spuntati all'ombra di fatui alberi (cartelli stradali). Decido di rifugiarmi sotto alcuni portici là vicino e comincio a chiudere l'ombrello. Faccio un po' di fatica a bloccarlo con lo scatto. Immaginatevi se questo si aprisse dentro l'autobus! Una ragazza rimasta presso la fermata mi scruta curiosa: mi vede lottare con l'ombrello e si domanderà cosa stia facendo. Finalmente sembra avvicinarsi il bus, la ragazza lascia l'oggetto della sua curiosità per dedicarsi al bus, al quale mi dedico anch'io. Preso d'assalto da tutti funghi i cui cappelli spariscono all'istante, salgo pure io e mi aggrappo al sostegno azzurro. L'autobus parte subito e decido di recitare il Rosario. Mi sfiora la mente una considerazione di padre Livio di venerdì sera alla catechesi giovanile: quando recitiamo il Rosario in qualche luogo, lo riempiamo della presenza di Dio. Vero, talvolta abbiamo timore di farci vedere tenere la corona di Rosario in mano. Troppo rispetto umano e, sapete una cosa? Al mattino presto, alle messe delle 7.30 nelle chiese che ho girato in questi 2 mesi, ho visto più uomini che donne tenere il Rosario in mano e sgranarlo senza vergogna. Così, ho preso esempio e ho estratto la mia coroncina dalla tasca e ho cominciato a sgranarlo. Ad un tratto ho rivolato la mia mente alla S. Messa e... allerta 1 pure nel mio cervello. Ricordavo la lettura ma non il vangelo. Nebbia totale... Pochi minuti dopo mi ritrovo davanti alla chiesa nella quale mi rifugio in preghiera per far passare il tempo di attesa dell'autobus piccolo che mi porta a destinazione. Ne approfitto per rileggere il vangelo e m'immergo nella meditazione. Sopra l'altare domina un Crocifisso splendido. È un libro aperto su cui meditare. Meditando su quel libro aperto, anche il cuore si apre. Passando per via Venti non si possono non notare i vari mendicanti che vi sostano. Si stringe il cuore per la tristezza e lo si vorrebbe aprire per aiutarli. Le nostre risorse sono limitate e non si può andare incontro a tutte le miserie umane. Là ce n'è solo una parte e forse non è nemmeno quella più bisognosa. Ci si vergogna di quello che si possiede, mi sento quasi in colpa e comprendo l'amarezza e il desiderio di Madre Teresa di Calcutta di lenire le sofferenze dei più poveri. Io vorrei aiutare, ma comprendo che, nonostante il mio desiderio, non riuscirò mai ad alleviare queste sofferenze. Offro quindi quello che ho: le sofferenze, i contrattempi, uniti al Cuore di Cristo. Tocco ugualmente il fondo della mia impotenza e ne soffro. Mi sento fortunata rispetto a loro e questa “fortuna” mi fa soffrire. Offro principalmente gli sforzi per affinare qualche virtù, perché per adesso non posso impegnarmi in alcuna attività di volontariato, visto che lavoro 7 giorni su 7. Il cuore è pieno di aspirazioni immense e sono in Dio (infinito per eccellenza) può trovare compimento.
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